Voto: 5 stelle

Recensione

“Francesca… tu… mi hai mangiato il cuore” […] “Francesca da qualche parte, molto tempo prima, l’aveva stregato, quasi gli avesse mangiato il cuore. Aveva vinto lei”.
(M. Strukul, Paolo e Francesca, pp. 186, 251).
È così che termina questo romanzo, conturbante oltre ogni misura. Questo pensiero di Giovanni, così dolce e amaro al tempo stesso, è il suo riscatto e la sua condanna.
Anche lui ha amato Francesca, un amore mai pienamente corrisposto, perché il cuore di lei, dal primo istante, è appartenuto a suo fratello Paolo “Dovevano essersi innamorati fin dal primo istante. […] Non aveva mai avuto davvero Francesca, ora era palese ai suoi occhi.” ( p. 250).
E quanta sofferenza, quanta inferiorità innanzi a quel fratello bello e  perfetto per lui che era zoppo e mezzo gobbo, che presuntuosamente aveva preteso una moglie bellissima solo per la sua fama di crudele guerriero.
Troppo rude per tanta gentilezza d’aspetto.
Non aveva neanche avuto il coraggio di presentarsi al suo stesso matrimonio, aveva mandato Paolo, il fratello bello, al suo posto, traendo in inganno i sensi appassionati della fanciulla.
Cosa poteva aspettarsi?
Soltanto una cocente delusione travestita d’orgoglio.
Mie care lettrici, Strukul è stato più bravo di un pittore, poiché la sua penna, mossa dalla sfavillante immaginazione, ha dipinto un’opera dalle fattezze sceniche.
Inutile dirvi che la storia mi ha appassionato, indugio, però, nel sottolineare, che la versione di Dante, così poetica e struggente, non ha eguali.
Il sommo poeta ha impresso in solo bacio quella lussuria a cui Strukul ha dedicato pagine di desiderio e passione, e, dopotutto, come dargli torto? Forse un bacio non poteva essere sufficiente per la dannazione eterna?
A quanto pare:”Francesca sentì le mani forti e sicure di lui che le cingevano i fianchi e le accarezzavano le forme, come fiere pronte a sbranarla. […] Le parve che una febbre la rapisse e che Paolo fosse completamente in lei, che le sue mani la conoscessero da sempre e per sempre l’avrebbero rapinata.
[…] Paolo premette le labbra contro le sue e lei, bramosa di quel fuoco che ardeva in lui come un incendio inestinguibile, gli allacciò le gambe attorno alla vita. […] Le parve di morire in lui e di rinascere […]. (pp. 180-182).
L’amore di Paolo e Francesca si consuma senza pudore, non solo un casto bacio dunque, ma una passione rovente che travolge non solo la mente, ma anche il corpo e tutti i sensi. A nulla è valso resistere ad un sentimento così forte “Gli mancava. Francesca era la stella luminosa di un cielo d’inverno. Malgrado si fosse imposto in ogni modo di non pensare a lei, non riusciva a togliersela dalla mente. Era la sua ossessione, il suo castigo, il marchio di una condanna, la peggiore possibile, perché non avrebbe mai potuto averla. E quel desiderio lo prosciugava e, allo stesso tempo, gli ricordava la sua colpevolezza […]”. ( p. 144) “Se anche fosse stato necessario un secolo, l’avrebbe corteggiata comunque, accettando anche solo un suo sorriso, un suo cenno d’assenso. Ma non poteva. E così si mangiava il cuore, facendosi spaccare la faccia al solo scopo di non pensare a lei […].” (p. 147).
Paolo amava Francesca e Francesca amava Paolo.
Erano cognati, ma si amavano, e a nulla sarebbe servito soggiogare quell’amore al rispetto per la famiglia, ai valori di un legame di sangue, perché, Paolo lo sapeva, l’amore non si piega dinnanzi alla volontà degli uomini e li sovrasta dall’alto della sua stella divina.
La tragedia era alle porte, solo la morte salva l’amore, solo il sangue può lavare il peccato di un adulterio che trova rifugio nel cuore di due anime destinate ad amarsi, ed eccolo lì, Giovanni, con il cuore in pena, che brandisce una spada, baluardo dell’odio per quel fratello che aveva da sempre avuto l’amore della sua donna. La fredda lama contrasta col calore dei loro cuori uniti anche sul letto di morte.

Trama

Francesca da Rimini è la figlia di Guido da Polenta, il signore della città, è in età da marito e la sua bellezza è impareggiabile. La sua prima damigella, Cornelia, di altrettanta bellezza, è anche la sua migliore amica e la seguirà in Romagna quando Giovanni Malatesta, figlio di Malatesta da Verrucchio, la pretenderà in moglie per aver aiutato il padre a diventare podestà. La ragazza, da sempre attratta dai romanzi cavallereschi, ambisce a quell’amore struggente e tormentato, che è abituata a leggere tra le pagine dei suoi libri. I suoi eroi sono Lancillotto e Tristano e sogna che un cavaliere senza macchia rapisca, un giorno, il suo cuore, vestendo i panni di Ginevra e Isotta. Tuttavia la realtà è ben diversa per lei, destinata sì ad un guerriero, ma non bello e aitante come i personaggi dei suoi amati racconti.Il matrimonio con Giovanni avviene per procura, è il bellissimo fratello Paolo a contrarre il matrimonio in suo nome, e lei, appena lo vede ne resta folgorata, parimenti a lui che se ne innamora al primo sguardo. I due già si amano e nulla impedirà loro di cedere alla passione.

Mie care amiche qui dico la mia.

Allora, la storia di Paolo e Francesca è resa immortale dal V canto dell’Inferno scritto da Dante e, fino a quando leggevo quei versi ero ammaliata da un amore così puro che andava oltre la morte. Condannati entrambi alla tempesta eterna senza colpa, solo il fato avverso aveva ordito contro di loro quel complotto nefasto, eppure, leggendo la versione di Strukul, che andrò ad approfondire mediante le fonti citate, non posso esimermi dal difendere Giovanni, un uomo punito dalla sorte, che lo ha fatto nascere storpio e brutto, poverino, che ha lottato tutta la vita per reprimere la repulsione che provava per sé stesso e in competizione con la bellezza che Dio aveva riservato soltanto al fratello. Dante è stato ingiusto e frettoloso a condannarlo, poiché, pur essendosi macchiato di fraticidio, avrei voluto vedere lui se il suo stesso sangue gli avesse fregato la moglie. Un pò di clemenza, per un uomo in lotta con la vita dalla nascita, sarebbe stata meritata e poi, la colpa è anche di Paolo che non se l’è tenuto nelle mutande.

E che cavolo!

Era sempre sua cognata e lui, così bello e prestante, avrebbe potuto avere qualsiasi donna.

Sì che al cuore non si comanda, ma pure lui dico io!

Capisco lei, che è una ragazzina di sedici anni e si sa che a quell’età si fanno le meglio cazzate, inoltre si ritrova per marito uno che non ha niente da invidiare al Bisbetico Domato interpretato da Celentano, ma Paolo è anche sposato con prole al seguito, oltre a dilettarsi di tanto in tanto con le fanciulle del popolo, quindi non è uno stinco di santo, poteva risparmiarsela almeno la cognata.

E invece no!

La sua presunzione è abbacinante.

La vuole e se la prende, ben sapendo che lei non avrebbe resistito alla sua bellezza, che poi, lasciatemelo dire, meglio Giovanni, che quel belloccio imbalsamato del fratello. Almeno lui, pur brutto, ha il suo carisma ed emana un certo fascino, Paolo sembra invece un manichino imbalsamato, devoto alla lussuria e al piacere e trascina quella stupida appresso a lui.

Ok, mi sono sfogata, scambiatemi pure per una bigotta, ma mi è dispiaciuto per Giovanni, snobbato dalla moglie per anni e fregato dal suo stesso fratello. Anche Giovanni ha le sue colpe, certo. Quando il loro bimbo è nato morto l’ha abbandonata a sè stessa, ma a lei questo abbandono ha fatto comodo così poteva trombarsi Paolo in santa pace.

Mah, io non ho parole!

Sicuramente anche Giovanni ha sbagliato quando Francesca ha perso il suo bambino durante il parto. In un momento come questo è stato crudele e spietato, l’ha lasciata da sola nel dolore e nella sofferenza, ma anche lui aveva perso suo figlio, le aveva chiesto tempo per riprendersi dell’accaduto, un tempo che non gli è stato concesso.

Tuttavia, pure lui, poteva evitarsi il duplice omicidio e risolvere la questione con un duello, tanto in voga ai tempi, ma ognuno reagisce secondo il suo carattere e, conoscendo Giovanni, c’era da aspettarselo.

Comunque, ragazze mie, mi è crollato un mito, ma per fortuna la versione di Dante è immortale e quella resterà la sola e unica verità per me.

Resta il fatto che Strukul è stato davvero molto bravo ad immortalare una delle tragedie amorose più famose della storia, calando il lettore nell’atmosfera del tempo anche mediante la descrizione dei paesaggi che incorniciano la trama.

Considerazioni finali

Paolo e Francesca è stata una lettura molto coinvolgente, mi ha fatto rivivere gli anni della mia adolescenza trascorsa tra le pagine dei grandi classici di cui mi cibavo assorbendo ogni singola parola. Quelle storie cavalleresche senza tempo, che si perdono nei meandri della storia e che attraversano con ardore i cuori di tutte le giovani fanciulle all’esordio della femminilità, quei cavalieri e nobili guerrieri, coraggiosi e senza paura, che affrontano mille peripezie per guadagnarsi l’amore delle proprie dame in un mondo fatato e antico, fatto di miti e leggende, pulsante di magia e intriso di mistero. Quei secoli oscuri e lontani, che tanto ci affascinano e vorremo rivivere, l’amore cortese, i palazzi, la sontuosità delle vesti e la bellezza immortale di quei personaggi così romantici e al contempo violenti, dove la morte e la crudeltà trovavano alloggio quotidianamente, assottigliandosi nelle nobili corti sottoforma di intrighi e tradimenti, congiure e pettegolezzi. E poi c’era lui, quel guerriero aitante, dotato di prestanza fisica e di un viso angelico, c’era l’amore travestito da freccia dorata e scintillante, pronta ad essere scoccata dall’arco possente di cupido, da quel Dio così ribelle e bellissimo, a cui ogni vittima soccombeva senza pietà.
Così Paolo e Francesca sono stati travolti, durante la lettura di uno degli amori più tormentati di sempre, quello di Lancillotto e Ginevra, perchè “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”.
In virtù di ciò vi lascio al V canto dell’Inferno dantesco, di cui porto, nella mente e nel cuore, ogni singola parola. Partirò proprio dal momento in cui Dante incontra i due innamorati, condannati alla dannazione eterna, quando Francesca narra la sua tragica vicenda.
Buona lettura!

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,a noi venendo per l’aere maligno,sì forte fu l’affettüoso grido.”O animal grazïoso e benignoche visitando vai per l’aere personoi che tignemmo il mondo di sanguigno,se fosse amico il re de l’universo,noi pregheremmo lui de la tua pace,poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.Di quel che udire e che parlar vi piace,noi udiremo e parleremo a voi,mentre che ’l vento, come fa, ci tace.Siede la terra dove nata fuisu la marina dove ’l Po discendeper aver pace co’ seguaci sui.Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,prese costui de la bella personache mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.Amor, ch’a nullo amato amar perdona,mi prese del costui piacer sì forte,che, come vedi, ancor non m’abbandona.Amor condusse noi ad una morte.Caina attende chi a vita ci spense”.Queste parole da lor ci fuor porte.Quand’io intesi quell’anime offense,china’ il viso, e tanto il tenni basso,fin che ’l poeta mi disse: “Che pense?”.Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso,quanti dolci pensier, quanto disiomenò costoro al doloroso passo!”.Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,e cominciai: “Francesca, i tuoi martìria lagrimar mi fanno tristo e pio.Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,a che e come concedette amoreche conosceste i dubbiosi disiri?”.E quella a me: “Nessun maggior doloreche ricordarsi del tempo felicene la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.Ma s’a conoscer la prima radicedel nostro amor tu hai cotanto affetto,dirò come colui che piange e dice.Noi leggiavamo un giorno per dilettodi Lancialotto come amor lo strinse;soli eravamo e sanza alcun sospetto.Per più fïate li occhi ci sospinsequella lettura, e scolorocci il viso;ma solo un punto fu quel che ci vinse.Quando leggemmo il disïato risoesser basciato da cotanto amante,questi, che mai da me non fia diviso,la bocca mi basciò tutto tremante.Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:quel giorno più non vi leggemmo avante”.Mentre che l’uno spirto questo disse,l’altro piangëa; sì che di pietadeio venni men così com’io morisse.E caddi come corpo morto cade.

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