Cari, Readers, benvenuti in questo secondo appuntamento con “L’agenda del sapere”.
Oggi parleremo, udite udite, di lui.
Rullo di tamburi.
Proprio di lui: Socrate.
Quando pensate a lui immaginate un personaggio eccentrico e sfacciato, un tipo molto intelligente ed estroverso, ma, molto spesso, taciturno e immerso nella meditazione. Non il classico sapiente devoto alla conoscenza, bensì un uomo nuovo, forse un oltreuomo, perché è lui che fonda le basi, tutte nuove, del filosofare.
Socrate aveva, per così dire, uno strano vizietto: intervistava la gente.
Vi starete chiedendo: ma perché?
Di certo non per farsi i cazzi loro, posso assicurarvelo.
Il suo scopo era la MAIEUTICA.
Tenete a mente questo strano termine perché è un nodo fondamentale della sua filosofia. La maieutica è pura ricerca della verità mediante la partecipazione attiva del soggetto pensante. L’obiettivo principale è, attraverso il dialogo, rintracciare la vera conoscenza e sputarla fuori; una sorta di parto del sapere che consiste nel raggiungere l’essenza della conoscenza. Ed è proprio quello che faceva il nostro Socrate. L’antico saggio interrogava i giovani e li spingeva al ragionamento, permettendo loro, mediante intricate elucubrazioni, di arrivare al vero concetto del pensiero.
Un parto delle menti, una nascita della conoscenza.
Ovviamente questo non andava a genio ai politici del tempo, che lo accusarono di corruzione dei giovani, una condanna, insieme a quella di non credere agli dei, che lo porterà al processo e, infine, alla condanna a morte.
Ma perché gli fu fatta anche questa seconda accusa?
In che senso, Socrate, non credeva agli dei?
Ritorniamo indietro, ad un altro punto cruciale del suo pensiero. Socrate è famoso per la frase “Conosci te stesso” , massima religiosa iscritta nell’antico tempio di Delfi. Questo imperativo suggerisce all’uomo di conoscersi, nel senso di conoscere la propria anima, il proprio sé, al fine di elevarlo alla sua vera essenza, permettendogli di rifiorire in una versione più alta, che vada ad edificare l’esistenza dell’individuo. Per farlo, occorre un lungo lavoro interiore, depennare le conoscenze e le tradizioni acquisite e volgersi al mondo con occhi nuovi e scrutatori, come un fanciullo alla continua scoperta del reale, basandosi sulla umile locuzione IO SO DI NON SAPERE, formula, che, a dire di Socrate, costituisce la chiave della gnoseologia.
La vera conoscenza, dunque, in barba agli empiristi, deriverebbe dall’interno, dall’anima, e non dall’esterno. L’anima, il sè, quel demone che guidava Socrate nelle sue scelte e a cui Socrate, spesso si appellava. Ecco spiegata l’accusa. Questo demone socratico, per cui gli è valsa la vita, altro non era che la voce della coscienza, ma, miei cari lettori, a quei tempi Freud non era ancora nato.
Come ben sappiamo, Socrate morì nel 399 a.C.
Platone ci ha lasciato un’importante testimonianza scritta in merito all’episodio, ossia l’Apologia di Socrate, che affronteremo nella prossima “Agenda del sapere”.
Detto ciò, spero di aver stimolato, anche solo un pochino, la vostra curiosità. Se così è stato, vi consiglio questa splendida lettura che esamina nel dettaglio Socrate e il suo affascinante pensiero. Non mi resta che augurarvi una buona lettura!
Cari Readers, oggi volevo segnalarvi l’uscita di questo nuovo, avvincente, romanzo.
Sinossi
Hirashima Maeda, un veridico estimatore della consuetudine e del gioco d’azzardo, fa della sua vita una costante, intera scommessa. Ma, quando l’incombente imprevedibilità, da lui perennemente e boriosamente ignorata, paleserà dinanzi a quelle iridi inavvedute e supponenti, la partita più ardua da trionfare, tutto muterà drasticamente.
Autrice
Bloodseas, pseudonimo di Chiara Del Giudice, nasce a Napoli nel 1997. Scopre la passione per la scrittura e la lettura fin da bambina. A seguito del diploma in Scienze Umane, ottenuto presso l’istituto “Giuseppe Mazzini”, abbandona definitivamente l’idea di perseguire un percorso universitario per intraprendere la carriera nell’ambito della moda. Nel settembre del 2020 inizia a scrivere il romanzo “Come cenere nel vento”, che è la sua prima pubblicazione.
Cari lettori, ma soprattutto voicare lettrici, oggi voglio segnalarvi l’uscita del nuovo romanzo della brillante autrice che sta conquistando il web Daniela Serpotta.
Disponibile su Amazon in versione cartacea e digitale “Il conte sarà mio”, un nuovo romance tutto da leggere.
Sinossi
Lei lo considera un fannullone e lui ne critica il comportamento poco signorile.
Londra, 1855 Johanna è la seconda figlia del vecchio conte di Rutland.
È uno spirito libero e indipendente che ha dedicato la sua vita ai libri e alla gestione della tenuta di famiglia.
Ma c’è un nuovo erede a cui appartengono le terre che lei ama tanto.
Philip Manners è il nuovo conte di Rutland, proviene dall’esercito, e l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato era di diventare un membro della nobiltà. Tra i due sono subito scintille.
Dall’autrice di “Un matrimonio combinato” ecco a voi il secondo capitolo della saga, tutto da leggere.
Non puoi mentire perchè lui conosce tutti i tuoi segreti, tutti i tuoi pensieri, tutti i tuoi desideri nascosti nel profondo.
È un mago il Fabbricante di Lacrime, possiede un potere antico quanto il tempo, il potere di risvegliare le emozioni.
Non è cattivo il Fabbricante di Lacrime, è soltanto il depositario di un dono, un dono che per una manciata di bambini rinchiusi un orfanotrofio può scatenare paura.
Le lacrime fanno paura.
I bambini lo sanno che le lacrime sono cattive.
Solo da grandi capiranno il grande segreto del Fabbricante di Lacrime, comprenderanno la sua missione, sveleranno il suo mistero, e quel lupo solitario dagli occhi neri riuscirà ad amare liberamente la sua piccola falena dallo sguardo d’argento.
Trama
Rigel e Nica sono due ragazzi di diciassette anni che hanno vissuto la loro infanzia al Grave, un orfanotrofio dimenticato di una piccola cittadina americana.
Lei porta il nome di una farfalla, lui quello di una stella.
Dopo anni trascorsi a sognare una famiglia che l’adottasse, finalmente quel giorno arriva. Anna e Norman scelgono lei anche se ha già diciassette anni e parla da sola. Nica è felice, finalmente avrà la sua famiglia, lascerà quel luogo di sofferenza e vivrà serena.Tutto le sembra un sogno, quando la melodia di un pianoforte attira l’attenzione di Anna.
E il sogno di Nica va in frantumi.
Rigel è lì, bellissimo ed etereo, sembra un angelo, ma Nica conosce il suo vero volto. Rigel è cattivo e spietato, ma Anna non lo sa, così li adotta entrambi. In realtà Rigel non è il mostro che si era disegnata Nica nel corso degli anni, questo ragazzo riservato e solitario nasconde più di un segreto che Nica scoprirà col tempo.Da qui inizia la storia, e che storia amiche mie.Ma conosciamoli meglio, conosciamo Rigel e Nica.
Rigel Wild
Wilde, solo il cognome è pura melodia per le mie orecchie, ma lasciate che vi parli di lui, della sua sfrontata riservatezza, del suo carattere di merda, del suo viso angelico e dei suoi occhi neri. Rigel è uno stronzo, ma non il solito stronzo, la sua stronzagine ha una marcia in più. Rigel è semplicemente perfetto, il bello e dannato per eccellenza, il classico bad boy che fa perdere la testa anche alla Madonna.
L’ho adorato.
Ha occhi neri e felini ed è un figo pazzesco, ma il trauma che ha subito da bambino lo spinge a chiudersi dentro se stesso, a rifiutare il mondo esterno, i legami, l’affetto. La tutrice del Grave, Margaret, lo ha trovato sulla porta dell’istituto quando aveva soltanto una settimana e lo ha battezzato con il nome della stella più lucente della costellazione di Orione, Rigel appunto. Lui era il suo prediletto, era quel figlio che aveva sempre desiderato e a cui riservava ogni briciola del suo affetto. Per gli altri bambini dell’istituto, invece, c’erano soltanto schiaffi e punizioni, punizioni indicibili che hanno causato traumi indelebili in quelle piccole anime in crescita, anche in quella di Nica, che, a causa sua non riusciva a dormire la notte.Rigel la odiava per questo, la odiava perché faceva del male all’unica persona che amava veramente, all’unica che fosse riuscita ad entrargli dentro senza più uscire, Nica. L’aveva sempre amata, dal primo giorno in cui l’aveva vista, ma non poteva amarla, non voleva amarla, un lupo e una falena non avrebbero mai avuto futuro.Lui era malato e lei era così delicata che non avrebbe mai potuto comprendere il difetto che si portava dentro dalla nascita.Così aveva sempre represso questo amore, aveva cercato di annientarlo, senza risultato purtroppo. È così, quando aveva scoperto che Nica sarebbe stata adottata, si era fatto scegliere anche lui. Doveva starle accanto, doveva continuare a proteggerla silenziosamente, come aveva sempre fatto fino a quel momento. Sarebbe sempre rimasto al suo fianco, per lei e per lui che aveva i suoi occhi impressi nel cuore.
Nica Dover
Nica Dover è l’incarnazione vivente della delicatezza e della bontà, in tutte le sue sfumature. È una ragazza dolce, gentile, fluttuante, come il nome che porta, il nome di una farfalla, e come una farfalla svolazza nel petto di Rigel, si posa placida sul suo cuore e lo avvolge con le sue ali colorate. Lei, a differenza di lui, ha subito abusi da parte della tutrice che hanno lasciato un trauma incancellabile dentro e fuori di lei, ma non ha mai smesso di sorridere alla vita, di sperare, di sognare un futuro a colori e una famiglia con cui dipingerlo. Non riesce a credere che Anna abbia scelto proprio lei, solitamente, i futuri genitori si soffermavano sui più piccoli, lei invece era ormai un adolescente, eppure, quella delicatezza aveva catturato l’attenzione di Anna, la donna più amorevole del mondo, e l’aveva spinta a sceglierla. Rigel non faceva parte del suo quadretto felice, lui era il male, lui era il lupo che la prendeva sempre in giro quando erano piccoli, che le tirava i capelli, la spintonava e rideva di lei.
Perché adesso era lì?
Perché si era fatto notare?
Nica l’avrebbe scoperto presto, quando le sue mani violente si sarebbero adagiate su di lei con… delicatezza.
Oh Dio, delicatezza…
Rigel non è certo una piuma, se la scopa e pure bello violento, peró cerca di dominare i suoi impulsi bestiali. Perché la ama e non vuole farle del male, perché vuole proteggerla persino da sé stesso.
Ed ecco che la favola del lupo e della falena prende vita.
Considerazioni finali
Miei cari lettori, l’ho letteralmente ADORATO!
Lo stile poetico e scorrevole della Doom mi ha preso, mi ha coinvolto e mi ha catturato.
Il Fabbricante di Lacrime è uno dei romanzi più belli che abbia mai letto, mi ha fatto piangere, mi ha fatto ridere, mi ha fatto arrabbiare e mi ha fatto innamorare, perché, come scrive Erin Doom, tutti noi abbiamo il nostro Fabbricante di Lacrime, ognuno di noi ama qualcuno così intensamente da farci piangere di gioia, dolore, tristezza e felicità.
Concludo col dirvi che non potete perdervi questo Romance, tanto avvincente e coinvolgente, non potete perdervi questa favola moderna che ha come protagonisti un lupo e una falena.
Sulla strascico della Bella e la Bestia si srotola un raffinato velo di seta, quello del Fabbricante di Lacrime.
Quando il talentuoso autore di questo romanzo, Michael Casetta, mi ha contattato chiedendomi una valutazione del suo libro non sapevo ancora che mi sarei trovata tra le mani un’opera d’arte in prosa. Gentilmente, ho confermato la mia disponibilità, ma per via della lunga fila di letture di cui era stata chiesta la mia attenzione, ho lasciato in stand by questo testo di cui ancora non avevo neanche letto il titolo. L’altro giorno, scorrendo la mail alla ricerca di “Orme”, quella che doveva essere la Lettura Esordienti di gennaio, mi sono imbattuta in questo titolo che, senza un reale motivo, sarà per via della mia nota formazione storico-filosofica, ha catturato all’istante la mia attenzione. Così, seguendo l’intuito, ho messo momentaneamente da parte il libro che avrei dovuto recensire per dedicarmi a questo.
E scelta migliore non potevo fare!
Cari lettori, questo romanzo è un piccolo gioiello da custodire con gelosia nella propria libreria, un testo che oltre alla mia attenzione, meriterebbe quella di voci ben più autorevoli del panorama letterario italiano. Mi domando come ancora non sia enumerato tra i primi posti delle classifiche dei libri più venduti, non solo lo merita, ma gli spetta di diritto per diverse ragioni: l’argomentazione principale del romanzo, l’impostazione della trama, il linguaggio per tutti e per nessuno, la sintassi, la grammatica perfetta, la scrittura stessa, superba, affascinante, effimera e al contempo fissata in eterno mediante quell’inchiostro che ne mostra il contenuto.
Dio si è fermato sulla Linea Gustav è, secondo la mia opinione, un capolavoro della letteratura, struggente e doloroso, osceno, crudele e agghiacciante. Terrorizza e inquieta, un terrore esistenziale che pone il lettore a confrontarsi con sè stesso, con le sue credenze e tradizioni, con la sua storia. La sua funzione catartica, tuttavia, addolcise la lettura, la fa sembrare un’opera di fantasia, un incubo dimenticato al risveglio, un ricordo lontano, sfuocato e deforme. Come un novello Richter, anche Casetta si sveglia di soprassalto e capisce che Dio non è morto realmente, che si era trattato soltanto di un brutto sogno e osserva il sole al tramonto rincuorato, un tramonto che simboleggia la morte, non solo del divino, ma anche dell’uomo. Il pianto di Cristo nella chiesa dinnanzi ai bambini deceduti che chiedono del loro Padre (Discordo del Cristo morto e altri sogni di J.P Richter) muta in un singulto lontano, perso nei meandri di una dimensione surreale. E noi, poveri orfani del Padre Celeste, nell’epoca dell’alta tecnologia, siamo in grado di risollevarci dal dolore con l’aiuto della madre, lei non è morta, lei è viva, la madre Terra e tutto ciò che incarna coesistono nel frutto più alto da essa generato: l’umanità.
Trama
Alle soglie della terza guerra mondiale, il tema trattato in questo romanzo risulta attuale e ricco di senso. Purtroppo il genere umano ha dimenticato troppo presto la sofferenza, la fame, la crudeltà, l’indifferenza e il sangue versato. È bastato il benessere del ventunesimo secolo, votato al consumismo e all’apparenza, a spazzare via la memoria e la dignità umana. Libri come questo, forgiati nella testimonianza, ci fanno ricordare la spietatezza della guerra e tutto l’orrore che ne consegue. Quando si leggono simili parole la memoria, seppur soltanto tramandata, riaffiora violenta e spinge la mente a ragionare, a capire, a indagare come sia possibile, oggi, negli anni della massima civiltà, ricadere in quell’oblio d’ignoranza e scelleratezza.
Ma continuamo con la recensione.
Innanzitutto, per chi non lo sapesse, la Linea Gustav, era una linea di confine che spaccava l’Italia in due, il sud degli Alleati contro il nord di Hitler. Essa era composta da una serie di fortificazioni voluti proprio da Hitler ed eretti nel 1943. In questi anni la guerra volgeva al termine e una nuova speranza si affacciava nell’animo degli italiani, vessati da un lungo periodo di sofferenza. Gli Alleati stavano avendo ragione dei tedeschi e tutto volgeva al meglio, mai nessuno avrebbe pensato che tra quelle fila di soldati, considerati eroi e portatori di salvezza, si nascondesse, in realtà, un gruppo di carnefici votati all’assassinio e all’abuso di qualunque cosa avesse forma umana.
Ed ecco che la denuncia di questo libro prende vita, un racconto triste e amaro, atto a dimostrare come la violenza sia priva di qualsivoglia limite; umano, animale, bestiale, perché quegli esseri non erano uomini, non erano bestie, bensì fiere infernali votate alla distruzione del vivente.
Il romanzo inizia con la scoperta, da parte di un giovane scrittore, di un volume antico nascosto nella soffitta della sua nuova casa. Questo libro, dalla copertina finemente lavorata, seppur vecchio, è totalmente incolume al tempo, sembra addirittura nuovo. Spinto dalla curiosità, lo scrittore agli esordi della sua carriera, lo apre e inizia a leggere una storia, anzi diverse storie, riferite a quei giorni di delirio. Eventi tragici, atti osceni, violenza e terrore scorrono sotto i suoi occhi, sconvolgendo il suo animo. Quel libro parla di quelle che sono passate alla storia come “marocchinate”.
Badate bene, lo scopo del romanzo di Casetta, non è indurre al razzismo, ma parlare di un particolare periodo storico realmente accaduto. Se cercate sul web si trovano varie fonti inerenti all’argomento, studi e testimonianze che riportano tutte le violenze subite dagli italiani in quei mesi di “liberazione”.
Casetta immagina una lotta tra il bene e il male, tra Dio e Satana, ecco cosa scrive: “Chi peggio dei tuoi figli, lasciati al libero arbitrio, può cagionare più dolore di quello che potrei causare io, Signore della luce? Tuonò il Signore del Male” (p. 9). I due eserciti soprannaturali raggiungono l’apice del conflitto proprio sulla linea Gustav, la linea di congiunzione e separazione delle compagini in battaglia. Tuttavia, il vero male, l’esercito schierato dal Signore delle tenebre, non sono i Tedeschi ma i liberatori. Travestito di sfavillante salvezza inganna gli innocenti, il vero e proprio esercito della Luce, figli di Dio violati dall’anima alle ossa. “Dio amareggiato guardava i suoi figli affogare nel sangue, affamati del sangue dei propri fratelli, tormentati da una nube nera che non gli permetteva di alzare lo sguardo al cielo […]. Lucifero […] soddisfatto, stupefatto e invidioso di come quegli esseri siano in grado di insegnare crudeltà anche a lui” (p. 10, 11). Gli artefici di tanto dolore furono i Goumiers, soldati coloniali francesi, che armati di un lungo coltello (la Koumia) seminarano morte, violenza e terrore. Casetta sostiene siano esseri senz’anima, in riferimento alla lotta divina da lui immaginata. La città di Esperia fu la più colpita dalla loro furia omicida e dissanguatrice, ma il primo ad averne prova fu un innocente bambino di nome Pietro, ucciso a colpi di coltello e gettato da un dirupo. Nell’altro mondo, la terra di confine tra il vivente e il non vivente, a Pietro verrà assegnato il compito di testimoniare questi crimini e trascriverli in un volume per mano di Annetta, una bambina abusata sessualmente dai Goumiers; Casetta scrive: ” Per Annetta era stato scritto un altro destino: sarebbe divenuta la rappresentante vivente di Pietro, all’arrivo di San Michele avrebbe accolto e raccolto tutte le sofferenze per tramandarle ai posteri affinché tutti sappiano e nessuno dimentichi il prezzo della libertà pagato dall’uomo” (p. 29). Depredata gran parte dell’Italia meridionale i Goumiers si spingono alle porte di Roma, intenzionati a conquistarla. Ma è proprio sul suolo della città santa che le forze del male perdono la loro potenza, si affievoliscono, e inizia la ripresa della forze celesti. La voce del Papa scatena un miracolo inaspettato e Dio vince una guerra data già per persa: ” Papa Pio XII ammonì gli eserciti combattenti “Chiunque osi levare la mano contro Roma, si macchiarà di matricidio”. Con queste parole gli uomini sembrarono svegliarsi dal torpore che lo aveva attanagliati per tutta la prima metà del XX secolo e volontariamente scelsero la non belligeranza per risparmiare Roma” (p. 50). Ormai, era solo questione di tempo prima che il male soccombesse al bene e il buio fosse riempito dalla luce: “Ormai numericamente inferiori e quasi demotivati si decise il loro ritiro per evitare una completa disfatta delle forze malvagie” (p. 52).
La guerra era terminata, la salvezza era sopraggiunta, questa volta per davvero, perché emanata da Dio e non dagli uomini, figli del peccato e della crudeltà.
Considerazioni finali
“Dio si è fermato sulla linea Gustav” è stata una lettura lacerante, mi ha lasciato dentro una sofferenza non mia, un dolore che nessuno dovrebbe mai provare. Consiglio la lettura di questo meraviglioso romanzo e il suo approfondimento attraverso altre fonti per non dimenticare l’umiliazione, la sofferenza e la dignità di quella nostra gente violata fino alle ossa, sotto la carne, nelle pieghe più profonde dell’anima, dove la coscienza sorge e le emozioni si aggrovigliano intorno ad un’angoscia esistenziale in grado di spegnere l’ego gonfiato che domina il ventunesimo secolo.
Ed eccomi con una nuova recensione. Devo dire che mi ci voleva proprio una lettura leggera e divertente e questo romanzetto regency mi ha distratto per un pò. Nulla di originale o sconvolgente, la classica storia d’amore sdolcinata e peperina con il solito finale scontato.
Devo ammettere che queste letturine, seppur divertenti, mi hanno un pò stancato. Certo, “il vissero felici e contenti” era palese ma le dinamiche non cambiano. C’è il solito nobile figo e sciupafemmine e la solita pudica e ingenua fanciulla, che non conosce minimamente l’amore e soprattutto l’anatomia maschile che una volta scoperta diventa una droga. Ovviamente nulla da biasimare, manca però un filo d’ingegno in quelle testoline spacciate per grandi teste. Comprendo l’epoca d’ambientazione e la posizione delle dame in questo contesto, ma caspita mi manca Elizabeth Bennet e il suo carattere focoso, la sua intraprendenza, il suo sarcasmo, la sua innocenza arguta, il suo acume rivoluzionario e tempestoso. Queste protagoniste sono tutte uguali, per lo più piatte, con la mera funzione di scoprire il piacere.
Sinceramente, fossi un editore, boccerei all’istante un romanzo del genere, ma comprendo la fetta di lettori, anzi lettrici, a cui vengono proposti.
Quando ho letto il titolo di questo romanzo mi era parso originale “La cattura della sposa” non era il solito “duca” di qua “marchese” di là, ma mi sbagliavo.
Chissà a cosa stavo pensando quel giorno! ahahah
Dovevo aspettarmelo!
Va bene, procediamo con la recensione.
Trama
Grace è una giovanissima ereditiera sotto la tutela di uno zio avido e codardo, devoto esclusivamente al lusso e alla bella vita.
È sposato con la pacata zia Elsie, a cui Grace è molto affezionata. La povera donna vive in miseria per consentire al marito di vivere la sua vita mondana. Circa un mese prima del compleanno di Grace, momento in cui la fanciulla compie 21 anni e non sarà più sotto la sua tutela, al fine di trarne un profitto economico, stipula, in nome della nipote, un fidanzamento combinato con uno che ha ucciso la moglie spingendola dalle scale, tale Worthington, noto per il temperamento crudele e spietato. A questo punto la fanciulla implora lo zio di annullare questa follia ma quello, accecato da una ricombenza in denaro che il futuro marito di Grace elargirà dalla sua stessa eredità dopo le nozze, non ne vuole proprio sapere. È a questo punto che la dolce e tranquilla zia Elsie elabora un piano che permetterà alla fanciulla di fuggire e incontrare l’amore della sua vita, l’affascinante quanto misterioso visconte Nash. Da qui tutto ha inizio amiche mie, l’atmosfera si scalda e le scene hot dominano la trama fino al gran finale.
Nash
Noto semplicemente come Nash, figlio di un noto visconte, è stato disconosciuto dal padre quando aveva circa 24 anni perché spendeva soldi a manette al gioco d’azzardo.
Come dare torto a suo padre?
Ma lui si sente pure tradito e abbandonato dalla sua famiglia e si rifugia nella villa dove ha trascorso l’infanzia, ora abbandonata e pericolante. Sarà lui a sistemarla nel corso del tempo e a renderla in parte abitabile.Tuttavia è sempre a corto di denaro, sopravvive a malapena e, quando il suo amico dai tempi dell’università, Guy, gli propone un accordo lavorativo alquanto bizzarro accetta senza esitazione. Intraprende così una nuova avventura che lo porterà a conoscere proprio Grace, la razionale e curiosa fanciulla che gli ruberà, letteralmente, anima e corpo.
Grace
Grace è una ragazza originale e molto intelligente. Ha trascorso l’infanzia con suo padre che l’ha istruita a dovere su ogni argomento possibile, anche nell’uso delle armi, per fa sì che sua figlia, una volta cresciuta, fosse stata in grado di badare a sé stessa. Quando suo padre è morto è passata sotto la tutela dell’avido e perfido zio.
Grace non è una fanciulla prorompente, al contrario è molto minuta, sia di statura che fisicamente, si crede poco attraente, perciò pensa che nessun uomo voglia sposarla in virtù del suo aspetto. Dunque, aveva pensato che, una volta diventata maggiorenne e riscossa la sua eredità, sarebbe andata a vivere da qualche parte con sua zia Elsie, l’unica persona in cui ha trovato conforto dopo la morte di suo padre. Possiede un gatto, Claude, che non abbandona mai e porta sempre con sé. Claude è il suo migliore amico, l’ha salvato da un fiume e da allora non si era più separata da lui.
Grace è molto razionale, cerca sempre la spiegazione di ogni cosa, analizza le situazioni, i luoghi, le persone e prende sempre appunti su tutto. Per lei, dietro ogni cosa si nasconde una ragione, fino a quando non incontra Nash ovviamente. Lui è un totale mistero per lei, lo analizzerà da cima a fondo, ma i suoi muscoli abbronzati e la sua mascella maschia spegnerà la luce della mente lanciandola nel buio ancestrale dell’istinto. Sarà lui a farle comprendere che alcune cose non hanno logica e che “Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”.
Considerazioni finali
“La cattura della sposa” è stata una lettura divertente e leggera, utile per allontanarsi per un pò dalla solita routine e passare qualche ora in compagnia di questi curiosi personaggi dal cipiglio tipicamente inglese.
Per chi cerca una lettura profonda e struggente consiglio di passare oltre, ma se volete divertirvi un pò questo libro fa al caso vostro mie care signore.
Lo storytelling, seppur rispettando i canoni del regency, è ben piazzato, la scrittura presenta qualche refuso, ma niente di orripilante, solo qualche svista, mentre il linguaggio è semplice e scorrevole, direi adatto a tutti. Le scene passionali sono molto focose, più centrate a svelare il piacere di lei che quello di lui.
Dunque mie care lettrici la scelta è vostra e, se siete appassionate del genere, non potete fare a meno di leggere “La cattura della sposa”, buona lettura!
Care amiche, arieccomii a parlare di loro, Tessa, Steph, Molly, Zed, Jace, Landon e sopratutto di lui, il “dopo” in questione, su cui sarebbe meglio stendere un velo pietoso, più pietoso che velo, mettere in moto la macchina del tempo e ritornare al “prima”, Hardin Scott.
Anche in questo secondo volume della serie il trash regna sovrano e io posso solo dire ” pancia mia fatti capanna” e gustare le succose ” buste shock”, per citare una big del trash, che popolano queste pagine.
Devo dire a favore della Todd che non mi sono mai annoiata durante la lettura, la suspense, chiamiamola così per educazione, è una costante. Non mancano le sorprese, anzi più che sorprese possono essere definite “una caduta faccia ‘nterra” e poi c’è sempre lui, il nostro fascinoso quanto psicotico e surreale protagonista che, ricordo con molto rammarico, ha fatto innamorare centinaia di ragazzine nel mondo. Ancora mi sto chiedendo come una cosa del genere sia potuta accadere ma poi giustifico la cosa dandomi della “vecchietta”, forse a quindici anni anch’io mi sarei innamorata perdutamente di Hardin Scott.
Ma procediamo con la recensione, senza ulteriore indugio, lo so che siete curiose!
Ehhhhh!!!
Risponderà qualcuna di voi, ma nessuno mi fermerà dopo essermi sorbita 500 e passa pagine di questo scempio.
Dunque, avanti tutta!
Trama
“Il triangolo nooo, non l’avevo consideratooo” canta Renato Zero, ma la Todd gli fa una linguaccia e con strafottenza dice “Il triangolo siii” e inizia a scrivere After 2.
Allora, eravamo rimasti a Tess che scappava da Hardin dopo aver saputo della scommessa. Questo secondo volume inizia con lei che va a Seattle per un evento della Vance, l’editore per cui lavora, insieme ai colleghi, tra cui spicca l’affascinante Trevor, innamorato ovviamente di chi? Vediamo se indovinate. Esattoooo!! Proprio di Tessa.
Lui la corteggia e lei accetta, anche se il bel tenebroso inglese occupa la maggior parte dei suoi pensieri. E niente, durante il viaggio la signorina “casa e chiesa” beve, si limona uno che non ha mai visto in discoteca e poi, visto che si è ubriacata come se non ci fosse un domani chiama il suo amore folle, quello che ha scommesso di portarsela a letto e se ne è vantato con tutto il campus, sì proprio lui, chiama “Dopo”. Quello, che è pentito più di Giuda dopo che hanno arrestato Cristo, si precipita da lei, si fa due ore di macchina nelle neve, trova il suo albergo non si sa come e pure la sua stanza. E niente, la becca con Trevor perchè si sono scambiati i telefoni e lui era andato a riprenderselo, ma il signorino “scommessa/psicotico” da di matto, pensa chissà che e il povero Trevor se ne va.
Rimangono soli e cosa fanno? Cosa potrebbero mai fare questi due? Mah chi lo sa, fatto sta che lei gli salta addosso e lui coglie la palla al balzo.
Dopo tutto ciò si ritorna a casa, lei vive in un motel dopo che ha lasciato il loro appartamento ma, pensando che Hardin vada in Inghilterra a trovare la madre, decide di ritornarci perché ha quasi finito i soldi e la madre non la finanzia più. Dunque arriva il fatidico giorno in cui l’inglesino pazzo deve partire, Tessa sa il giorno perché glielo aveva detto lui, e lei, pensando che la casa fosse vuota, ci si trasferisce con armi e bagagli. Tuttavia, proprio mentre si rilassava tutta felice ecco che la porta si apre ed entrano lui e, udite udite, la madre.
E qui si vola ragazzi.
I due fingono di stare ancora insieme perché lui aveva raccontato alla madre di aver trovato, finalmente, una fidanzata, una ragazza per bene per giunta, e lei decide di restare, poi alla fine scopano e si rimettono insieme realmente. Il giorno di natale Hardin picchia il padre senza motivo e la sera di capodanno picchia un altro, non chiedetemi chi perché non me lo ricordo. Finiscono le feste, si torna all’università, ma una sera, nel sonno, Tessa chiama Zed, che Hardin proprio non può soffrire, non ho ancora capito perché, e lui impazzisce, va ad ubriacarsi in un bar e poi si scopa la barista, una sua vecchia conoscenza tra l’altro. La poveretta, Madre Teresa di Calcutta in minigonna, lo scopre perché ritornando a casa dall’università fa un incidente in macchina, niente di grave per fortuna, e in quel momento anche lui stava ritornando al bar dove aveva lasciato la macchina la sera precedente perché era troppo ubriaco, lo sta accompagnando la barista ovviamente. Quando vede la macchina incidentata di Tess si precipita da lei, dopo un pò lo raggiunge anche la barista e…
boom, scoppia la bomba.
Tess lo lascia per l’ennesima, stancante, volta e lui che fa? Se ne va in Inghilterra dalla madre.
Bah!
Secondo lui deve starle lontano così lei può rifarsi una vita con uno migliore di lui, Trevor è il candidato ideale secondo la sua mente perversa, e il suo discorso ha senso, peccato che è lui il protagonista di questo romanzo e quindi l’unico con cui la protagonista ha un futuro. Da questo momento in poi il ritornello di Renatone nostrano prende il sopravvento. Dopo una decina di giorni passati a piangere per “Mister narcisista cronico” la “bella addormentata tra i libri” si sveglia e capisce, secondo lei, che il morto di figa scappato in Inghilterra non la vuole più, così, bella quatta quatta, corre tra le braccia di quello che il suo ex odia a morte, Zed “il figo”, pur essendo ancora innamorata di quell’altro.
Whoa! Che fatica!
Come era ovvio, appena vede il suo “malessere”, che nel frattempo è ritornato dall’Inghilterra, non capisce più niente e torna con lui, dando al suo novello cavaliere senza macchia un bel due di picche.
Non vi dico il macello signore mie!
“Il figo” non accetta che “la bella addormentata tra i libri” sia ritornata con “Mister narcisista cronico” e inizia una contesa tra questi due gentiluomini, che non sono né gentili e né uomini, per conquistare il cuore della loro Bella.
E qui ragazzi si raggiunge il culmine.
Zed orchestra intrighi ai danni del rivale, per far sì che Tessa lo lasci, ma lei è proprio cocciuta e se lo tromba pure questo signor “malessere” dall’accento inglese. Volano schiaffi, cazzotti e “il figo” finisce pure all’ospedale per mano di ” Mister narcisista cronico” che difende l’onore dell’amata a suon di botte.
Alla fine cosa accadrà?
Chi vincerà il cuore di Tessa?
Non ve lo dico!
ahahah.
Parliamo un pò di Hardin e Zed invece.
Hardin Scott
Vi starete chiedendo perché parlo ancora di lui visto che gli avevo dedicato un paragrafo nella recensione precedente ma, ragazzi, non posso proprio esimermi. In questo secondo libro emergono tratti della sua personalità che nel primo sono celati, tratti molto raccapriccianti. Io l’avevo detto che questo ragazzo era più adatto per un giallo ed infatti la mia opinione è stata confermata da Trish, sua madre. Il giovanotto non è andato in America solo per studiare e dimenticare il suo passato problematico. La mamma l’ha spedito dal padre perché era un vero e proprio maniaco. Questo andava a letto con le ragazze e le filmava mentre si davano a lui. Uno di questi video ha fatto il giro del web, la ragazza in questione si chiamava Natalie, rovinando la sua reputazione. Per fortuna la ragazza ne è uscita dopo un pò e ha trovato un ragazzo che le voleva bene realmente, ma Trish, esausta della vita del figlio, fatta di alcol, sesso e droga, l’ha allontanato da casa, per il suo bene, anche se non è riuscita nel suo intendo visto che Hardin ha continuato a bere e rovinare fanciulle. Ma non è solo questo, Hardin è violento oltre ogni misura, picchia tutti e distrugge tutto e l’autrice giustifica ciò con il trauma che ha subito da bambino.
(Non lo spoilero).
Inoltre è un manipolatore e crea dipendenza affettiva. È un soggetto pericoloso che meriterebbe la galera non una posizione d’onore all’interno di un romanzo e mi chiedo come i lettori apprezzino un simile personaggio. Qui non si tratta solo di essere stronzi, ma di supportare la violenza fisica e psicologica, di dare per buono un comportamento immorale e fuori dalla norma. Tutto ciò non è giustificabile, tutto ciò non merita neanche una goccia di inchiostro. Sono allibita e basita perché la Todd, tramite Tessa, accetta ogni cosa di Hardin, anche la più infima. Lo giustifica, lo accetta, cerca di calmarlo e rinuncia persino alla sua famiglia per lui. Tessa è il suo giocattolo e le parole che usa quando parla di lei con altri mi fanno ribollire il sangue. Hardin Scott è l’esempio più eclatante di uomo manipolatore e narcisista, che non si fa alcuno scrupolo a fare ogni tipo di male alle persone. Per lui non esiste nessun altro al di là di sé stesso e non ama altri fuorché se stesso. Forse esagero ma ho trovato questo libro un inno alla violenza sulle donne e la Todd non ha neanche la consapevolezza di tutto ciò, come una sprovveduta a spiattellato questa oscenità nero su bianco ed è stata accolta da importanti editori che forse non hanno neanche letto questo libro. Vedremo cosa accadrà nel terzo volume ma questo è quello che mi ha trasmesso questo secondo capitolo della saga.
Zed Evans
Lui è il rivale di Hardin, e vi dirò, è migliore di lui in tutto e per tutto. Fa solo qualche giochetto per attirare Tessa a sè ma si sa che in guerra e in amore tutto è concesso. Zed è bellissimo, è un ragazzo educato e si prende tutte le botte che Hardin ha da dargli in nome del suo amore malato per Tessa. La protegge ed è sempre presente, e gentile con lei e non l’accusa di nulla, come è giusto che sia. Quando Hardin lo manda all’ospedale per avergli rotto il naso e provocato una commozione celebrale a suon di pugni e calci, decide anche di non sporgere denuncia quando Tess lo implora di non farlo. Insomma ragazze, Zed è un ragazzo normale, va all’università, esce con gli amici, si diverte anche lui con le ragazze ma non è psicopatico come Hardin e, a mio parere, tra i due io ho fatto il tifo per lui fino alla fine.
Considerazioni finali
Beh, penso di aver già detto tutto. È stata una lettura intensa devo dire, perchè ad ogni pensiero di Hardin, in questo secondo volume la Todd ha inserito anche il suo punto di vista, mi giravano i coglioni. Avrei voluto entrare nel romanzo e spaccargli la faccia confermando il detto secondo cui la violenza genera altra violenza.
Hardin Scott, signorine mie, non è solo uno stronzo bullo, è un vero e proprio criminale, perciò badate bene a chi donate il vostro cuore. Comprendo il fascino del bello e dannato, ma qui siamo ben oltre e, veramente, non mi capacito come questa storiella da quattro soldi abbia potuto avere tutto questo successo eclissando voci ben più meritevoli. Hardin Scott non è uno sciupafemmine, è soltanto uno scostumato e un delinquente, un individuo letterario privo di senso.
E mi incazzo anche sul fatto che la Todd osi paragonarlo a Heatcliff o Mr Darcy, due capisaldi della letteratura, questa cosa mi manda fuori di testa, cazzo!
Dunque, miei cari lettori, tenetevi alla larga da questo libro, il più brutto che abbia mai letto finora e di cui non consiglio assolutamente la lettura.
Leggetevi la saga delle Cinquanta Sfumature, che è, a mio parere, decisamente meglio.
Cari lettori, questo è il primo volume della lettura dedicata all’Agenda del sapere. Ho scelto questo testo perché è interamente basato sulla testimonianza e sugli scritti dei pensatori che hanno dato origine alla storia della Filosofia.
Prima di tutto voglio precisare che il mio intento non è quello di annoiarvi propinandovi una lezione di filosofia, tuttavia, per quanto concerne questi primi filosofi, essendovi pochi scritti e frammenti, non ho potuto fare una lettura dedicata. Vi parlerò di loro in generale, sperando di carpire la vostra attenzione. Allora, immaginate un mondo antico, dove la credenza e la tradizione anticipava il pensiero, dove il mito era considerato saggezza e Omero la forma più alta del sapere. Una realtà nuda e cruda, fatta di lotte per il potere, guerre cruente per accaparrarsi un territorio, dove il divino si mescolava con l’umano, interveniva nelle sue gesta e muoveva le fila della storia. Dei e uomini erano un unico corpo compatto, molte divinità sceglievano un prediletto da guidare e portare alla gloria eterna di cui si sarebbe narrato per intere generazioni. Achille e Ulisse sono l’esempio per eccellenza, due greci, abili guerrieri e guide sagge dei loro uomini. L’antica Grecia, culla della sapienza, concentrava dentro di sè arte, bellezza, forza e saggezza, in netto contrasto con il mondo al di fuori dei suoi confini, il mondo dei barbari, una massa di ignoranti e violenti che agognavano il cuore pulsante del logos nascente.
Ebbene miei cari lettori, è in questo contesto che nasce la filosofia Ionica della scuola di Mileto fondata da Talete, il più saggio degli uomini. Questi primi filosofi sono portentosi, unici nel loro genere e gettano le basi della storia del pensiero occidentale. Costoro cercavano un principio universale delle cose, un principio, archè, che fosse alla base della realtà. La novità da loro introdotta è che questo archè si trova nel mondo fisico, sensibile, detto in termini filosofici, ossia nella realtà esperita dagli uomini. Ecco perchè sono detti fisici. Per Talete la causa di tutto era l’acqua, per Anassimandro l’apeiron, per Anassimene l’aria e per Eraclito il fuoco. Parmenide propone invece come principio l’essere, ciò che “è” è e non può non essere, anch’esso però visto in chiave fisica e finita, che in termini filosofici significa dotato di limiti, per lui aveva forma sferica. Infine c’è Pitagora che pone all’apice del reale il numero, un qualcosa di più astratto rispetto ai suoi predecessori ma finalizzato alla misura dell’esperibile.
Immaginate questi uomini, la cui tradizione è impregnata di fantasie e chimere, iniziare un nuovo percorso della conoscenza, una cosa mai fatta prima, un prodigio dell’intelletto che, in un primo momento, sgomita smarrito tra le fauci dell’ignoranza.
Ed ecco che nasce la Filosofia, che in greco significa Amore per la sapienza, perché sì, la conoscenza è un atto d’amore che la ragione compie verso se stessa, un salto nel vuoto che conduce alla morte e alla rinascita di una nuova consapevolezza intellettuale e critica. I pensatori antichi erano realisti e poliedrici, allungavano lo sguardo oltre l’orizzonte e innalzavano la menti sino alla volta celeste, perché il sapere era uno e la sapienza tutta era mero filosofare, elucubrazione estatica dei desti, prescelti e portatori di una conoscenza tanto arcana quanto semplice.
Un sogno ad occhi aperti concretizzato dalla ragione, acerba e matura al contempo per intraprendere la sua indipendenza dal dio olimpico, un rosso sangue divenuto indaco brillante che si spande attraverso l’opera del pensiero nelle menti illuminate di quelli che sono in grado di acquisire il sapere e di tramandarlo in forma di scienza.
Filosofare non è semplicemente pensare, è uno stile di vita, una responsabilità pari a quella divina, un compito da Oltreuomini per dirla con Nietzsche, che nel pieno della follia raggiunge l’apice della saggezza. Gli ionici hanno dato il via alla grandezza della mente, alla sua supremazia nel mondo. Il logos prende le redini del potere e sconfigge il Mithos, diventa Nous e governa l’universo intero.
Cari lettori, per un approfondimento dettagliato di questi grandi pensatori consiglio la lettura di questo testo ad essi dedicato, augurandovi una buona lettura.
Il demonio è il male, Il buio, l’antagonista per antonomasia del bene e della luce. Il signore delle tenebre e dell’Inferno, scacciato dal Paradiso perché si era elevato sullo stesso piano di Dio. Ed ecco che da tentatore si aggira sulla Terra con il solo scopo di condurre il genere umano verso la perversione, per rubare quante più anime possibili sottraendole al loro Creatore. Ma il diavolo è anche un angelo, il signore degli angeli caduti, tanto bello, quanto terribile. Ed ecco che il demonio fa il suo ingresso sulla scena letteraria esibita dalla penna di Noemi Talarico, additato dai suoi concittadini come la bestia di Chambord.
Non un uomo, ma un essere immondo, privo di contorni, cupo, malefico, sacrilego e rinchiuso nel suo terrificante castello.
Ma è davvero così?
Il demonio di Chambord è davvero un demonio o è soltanto una credenza infondata?
“Le donne lo guardavano con orrore, nascondevano le loro figlie impaurite al suo solo passaggio, gli uomini lo fronteggiavano come se fosse stato il messo del diavolo venuto a usurpare l’innocenza dei loro bambini. E allora, sì, che aveva smesso di vivere e si era rinchiuso tra le mura del castello senza più dare notizie di sé. Era il demonio di Chambord, eppure era lì che lui si sentiva a casa”. (Il demonio di Chambord, N. Talarico, p. 24).
Eppure c’è qualcuno che, nonostante la sua fama, lo considera ancora un uomo e non una bestia: “Com’era possibile che l’avesse visto e gli stesse… sorridendo? Il cuore gli batteva forte nel petto, pietrificato davanti al sorriso più bello e genuino che avesse mai visto in tutta la sua vita”.
La giovane Mirabelle non è come gli altri abitanti di quel gretto paesino francese, lei non si sofferma alla mera apparenza esteriore, non crede alle dicerie sul conto del misterioso signore del castello di Chambord, ed è disposta persino a lavorare per lui. Certo, lo fa per salvare suo padre da una terribile malattia che lo ha costretto su un letto d’ospedale per anni interi, eppure, tuttavia, c’è qualcosa che l’attrae, l’istinto e il cuore le dicono che quell’uomo tanto terrificante altro non è che un povero diavolo per cui perderà letteralmente la testa: “E allora comprese che non si era trattato solo di un sogno. La bolla in cui si sentiva rinchiusa scoppiò e fu come udire il boato assordante di un’esplosione. Il cuore accelerò i battiti, il respiro divenne sempre più corto, le ginocchia tremarono”. (p.43).
Un amore oltre le apparenze, un castello da far invidia a Buckingham Palace e un’arguta governante popolano le pagine di questa favola moderna ispirata alla Bella e la Bestia in cui la lussuria primeggia a discapito dell’aspetto e l’anima si sollazza beata tra letteratura e poesia.
La domanda che chiude il prologo messo in scena da Walt Disney lascia spazio, nell’opera della Talarico, soltanto al profumo di una rosa rinchiusa in una teca di cristallo, ma qui i petali non appassiscono, bensì rinvigoriscono sotto l’influsso della passione che lega i due innamorati.
“Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?” domanda il caro Walt, “Mirabelle La Belle” risponde Noemi Talarico, che sin dal principio se ne infischia del corpo sfigurato di Niklas Das Biest, il suo innamorato.
Trama
Mirabelle e Niklas vivono a Chambord, cittadina francese di pochi abitanti. Qui tutti si conoscono e le voci corrono in fretta. I pettegolezzi sono all’ordine del giorno e si coagulano allo spirito gretto e bigotto dei cittadini che vivono una vita semplice e seguono sempre le stesse abitudini con il grigiore che ne consegue. Quando Niklas arriva da San Pietroburgo si aspettava un’accoglienza diversa, ma il suo aspetto fu subito oggetto di giudizi e pregiudizi che lo spinsero a rinchiudersi sempre più in sé stesso, una chiusura anche verso il mondo esterno incapace di accettare il suo corpo deturpato. Lui stesso è ormai assuefatto dai pregiudizi sul suo conto: “Osservò il suo riflesso e non si riconobbe uomo, ciò che stava guardando era un animale intrappolato. Un leone in gabbia, dove la cella era la sua mente e lui il felino indomito che per quanto ruggisse e azzannasse quelle sbarre non aveva abbastanza forza per piegarle e riconquistare la libertà che tanto agognava” (p. 62). Ma un barlume di speranza si affaccia alla sua finestra, quando, una giovane fanciulla in gita al suo castello lo intravede al di là del vetro e gli sorride, come avrebbe fatto con chiunque altro, ridonandogli la sua umanità e ledendo in parte la corazza che portava dentro e fuori.
Niklas
Niklas era un ragazzo che si mangiava la terra, viveva a San Pietroburgo con la sua famiglia e lavorava come vigile del fuoco. Adorava il suo lavoro, si sentiva un eroe, salvava vite e il fuoco non lo spaventava, almeno fino a quel tragico giorno.La sua vita mutò improvvisamente e lasciò la Russia per trasferirsi in Francia.
E scelta peggiore non poteva fare, ma questo trasferimento era il sogno di qualcuno…
Giunto laggiù costruì un castello, Niklas è un ricco ereditiero e può permettersi più lusso di uno sceicco, beato lui. Che poi non è solo ricco, è anche dolce, gentile e dotato di una cultura al di là del pensabile che cancella all’istante il suo aspetto deforme per metà. Niklas ha un cuore nobile ed è proprio questa sua caratteristica a conquistare Mirabelle. Devo dire però che non ha niente a che vedere con Adam, che sia prima, che dopo esser diventato bestia, è un pomposo arrogante e non fa niente per nasconderlo. Saranno poi i fatati personaggi del castello, dopo l’arrivo di Belle e, soprattutto, l’amore che proverà per quest’ultima a cambiarlo. Niklas invece è già buono di suo, vorrebbe soltanto essere accettato per quello che è senza doversi nascondere per non suscitare terrore negli occhi di chi lo guarda.
Altra cosa, Mirabelle non è per niente spaventata da lui, sin dal principio lo trova bello e attraente, al contrario di Belle, che, come in molti sappiamo, si spaventa a morte appena vede Adam. Certo, le sembianze sono diverse, ma, in un certo senso, ho trovato più realistica la reazione di Belle rispetto a quella di Mirabelle, ma soffermiamoci anche su di lei.
Mirabelle
Mirabelle è nata e cresciuta a Chambord, a differenza dei suoi compaesani sembra avere un cervello e non crede minimamente alle voci sul demonio di Chambord, anzi ne è inspiegabilmente attratta e, quando gli si offre l’occasione per lavorare per lui, prega Mauritio, amico del giovane, affinché l’assuma come domestica. La ragazza ha bisogno di soldi per salvare il padre da una tremenda malattia e lei spera di racimolare la somma necessaria per l’operazione nel giro di qualche mese proprio lavorando al castello di Chambord, visto che col suo lavoro al Bistrot stenta ad arrivare a fine mese. Niklas accetta di assumerla e lei ci va di buon grado, non è terrorizzata, al contrario è emozionata di conoscerlo. La cosa la rende una ribelle, è una che va contro corrente e se ne infischia del giudizio della massa. Dopotutto non ha tutti i torti, quel poveretto poteva aver subito un brutto incidente e a Chambord erano troppo stupidi e ignoranti per intuirlo, tuttavia, la cosa poco credibile è il sesso che le suscita fin da subito. Mi spiego meglio, non metto in dubbio che Niklas fosse attraente, sprigiona anche un certo fascino dato dal mistero, però, se io vedo uno che ha avuto un incidente come il suo l’ultima cosa che penso è portarmelo a letto, forse con il tempo, ma non appena lo vedo. Non so, c’è qualcosa di surreale nello storytelling, ok che è una favola, però avrei voluto veder sbocciare questo amore un po alla volta, avrei voluto che lui fosse più incazzato e che cazzo! Un paese intero l’ha ripudiato perché lo riteneva brutto e inadatto per i suoi occhi, almeno un pò di stronzaggine e diffidenza ci voleva.
E invece no.
Niklas è più dolce del miele. Comunque sia Mirabelle s’innamora pazzamente di lui e se lo vuole pure scopare, fino a quando non ci riesce. E lo credo bene, quel poveretto, dopo sedici anni di astinenza si ritrova una figa di vent’anni nel letto, era del tutto normale che non riuscisse a resistere. Detto ciò Mirabelle è una ragazza molto carina, dolce e brillante, adora la lettura e non ha paura di lavorare, al contrario è ben lieta di farlo. Le manca però il sogno, quello di Belle, che leggeva romanzi per sondare altri mondi, che viveva quelle storie con tutta l’anima e si perdeva nelle pagine dei libri.
(Un po come me!)
Considerazioni finali
La storia non è male e richiama le dinamiche della favola originale, Mirabelle, come Belle, è costretta da Niklas a vivere nel suo castello, i due si innamorano e vissero tutti felici e contenti, c’è anche Chicco, che qui non è la mia adorabile tazzina ma è comunque un super adorabile gattino. C’è Gaston, che vuole Belle a tutti i costi e una new entry, Olivia, la sua migliore amica, che di migliore ha poco e niente. Tuttavia c’è qualcosa che non mi convince, la trama non mi ha conquistato appieno come avrei voluto. Avrei gradito uno spessore maggiore per quanto riguarda i personaggi, almeno i due principali, avrei voluto vedere Niklas non come un bonaccione, questo lato ammansisce anche il suo lato sexy. Quest’uomo più che un innamorato mi sembra un disperato che non vuole restare solo per tutta la vita e non vuole mollare l’unica che finalmente, dopo anni, lo nota, tra l’altro anche una ragazzina eh, lui ha 36 anni, sarei piccola anch’io per lui. Vabbè, diciamo che l’amore non ha età, però la bestia che avrebbe dovuto essere in lui non c’è, Niklas non è una bestia miei cari lettori e, in un retelling della Bella e la Bestia, avrei voluto incontrarla questa bestia, leggere i suoi pensieri, sentire il suo stesso odio contro il mondo e invece niente. Solo qualche scatto brusco verso Mirabelle, poi ha paura che lei se ne va e le racconta per filo e per segno la sua storia. A Niklas manca l’orgoglio tipico di Adam, che pur essendo brutto lo rendeva un fico. Quel suo carattere intrattabile dovuto anche alla solitudine, i suoi modi poco gentili e irruenti, il suo sbattersene altamente se Belle è la ragazza del vero amore.
E poi c’è lei, Belle, tanto graziosa quanto tosta, che ama leggere e sogna una vita spericolata e piena di guai, per dirla con Vasco.
Ecco, tutto questo manca.
Ecco cosa avrei voluto leggere in chiave moderna.
Bene lettori, mi sono dilungata sin troppo, vi lascio alla lettura del Demonio di Chambord, che, nonostante tutto, è molto piacevole.
“Francesca… tu… mi hai mangiato il cuore” […] “Francesca da qualche parte, molto tempo prima, l’aveva stregato, quasi gli avesse mangiato il cuore. Aveva vinto lei”. (M. Strukul, Paolo e Francesca, pp. 186, 251). È così che termina questo romanzo, conturbante oltre ogni misura. Questo pensiero di Giovanni, così dolce e amaro al tempo stesso, è il suo riscatto e la sua condanna. Anche lui ha amato Francesca, un amore mai pienamente corrisposto, perché il cuore di lei, dal primo istante, è appartenuto a suo fratello Paolo “Dovevano essersi innamorati fin dal primo istante. […] Non aveva mai avuto davvero Francesca, ora era palese ai suoi occhi.” ( p. 250). E quanta sofferenza, quanta inferiorità innanzi a quel fratello bello e perfetto per lui che era zoppo e mezzo gobbo, che presuntuosamente aveva preteso una moglie bellissima solo per la sua fama di crudele guerriero. Troppo rude per tanta gentilezza d’aspetto. Non aveva neanche avuto il coraggio di presentarsi al suo stesso matrimonio, aveva mandato Paolo, il fratello bello, al suo posto, traendo in inganno i sensi appassionati della fanciulla. Cosa poteva aspettarsi? Soltanto una cocente delusione travestita d’orgoglio. Mie care lettrici, Strukul è stato più bravo di un pittore, poiché la sua penna, mossa dalla sfavillante immaginazione, ha dipinto un’opera dalle fattezze sceniche. Inutile dirvi che la storia mi ha appassionato, indugio, però, nel sottolineare, che la versione di Dante, così poetica e struggente, non ha eguali. Il sommo poeta ha impresso in solo bacio quella lussuria a cui Strukul ha dedicato pagine di desiderio e passione, e, dopotutto, come dargli torto? Forse un bacio non poteva essere sufficiente per la dannazione eterna? A quanto pare:”Francesca sentì le mani forti e sicure di lui che le cingevano i fianchi e le accarezzavano le forme, come fiere pronte a sbranarla. […] Le parve che una febbre la rapisse e che Paolo fosse completamente in lei, che le sue mani la conoscessero da sempre e per sempre l’avrebbero rapinata. […] Paolo premette le labbra contro le sue e lei, bramosa di quel fuoco che ardeva in lui come un incendio inestinguibile, gli allacciò le gambe attorno alla vita. […] Le parve di morire in lui e di rinascere […]. (pp. 180-182). L’amore di Paolo e Francesca si consuma senza pudore, non solo un casto bacio dunque, ma una passione rovente che travolge non solo la mente, ma anche il corpo e tutti i sensi. A nulla è valso resistere ad un sentimento così forte “Gli mancava. Francesca era la stella luminosa di un cielo d’inverno. Malgrado si fosse imposto in ogni modo di non pensare a lei, non riusciva a togliersela dalla mente. Era la sua ossessione, il suo castigo, il marchio di una condanna, la peggiore possibile, perché non avrebbe mai potuto averla. E quel desiderio lo prosciugava e, allo stesso tempo, gli ricordava la sua colpevolezza […]”. ( p. 144) “Se anche fosse stato necessario un secolo, l’avrebbe corteggiata comunque, accettando anche solo un suo sorriso, un suo cenno d’assenso. Ma non poteva. E così si mangiava il cuore, facendosi spaccare la faccia al solo scopo di non pensare a lei […].” (p. 147). Paolo amava Francesca e Francesca amava Paolo. Erano cognati, ma si amavano, e a nulla sarebbe servito soggiogare quell’amore al rispetto per la famiglia, ai valori di un legame di sangue, perché, Paolo lo sapeva, l’amore non si piega dinnanzi alla volontà degli uomini e li sovrasta dall’alto della sua stella divina. La tragedia era alle porte, solo la morte salva l’amore, solo il sangue può lavare il peccato di un adulterio che trova rifugio nel cuore di due anime destinate ad amarsi, ed eccolo lì, Giovanni, con il cuore in pena, che brandisce una spada, baluardo dell’odio per quel fratello che aveva da sempre avuto l’amore della sua donna. La fredda lama contrasta col calore dei loro cuori uniti anche sul letto di morte.
Trama
Francesca da Rimini è la figlia di Guido da Polenta, il signore della città, è in età da marito e la sua bellezza è impareggiabile. La sua prima damigella, Cornelia, di altrettanta bellezza, è anche la sua migliore amica e la seguirà in Romagna quando Giovanni Malatesta, figlio di Malatesta da Verrucchio, la pretenderà in moglie per aver aiutato il padre a diventare podestà. La ragazza, da sempre attratta dai romanzi cavallereschi, ambisce a quell’amore struggente e tormentato, che è abituata a leggere tra le pagine dei suoi libri. I suoi eroi sono Lancillotto e Tristano e sogna che un cavaliere senza macchia rapisca, un giorno, il suo cuore, vestendo i panni di Ginevra e Isotta. Tuttavia la realtà è ben diversa per lei, destinata sì ad un guerriero, ma non bello e aitante come i personaggi dei suoi amati racconti.Il matrimonio con Giovanni avviene per procura, è il bellissimo fratello Paolo a contrarre il matrimonio in suo nome, e lei, appena lo vede ne resta folgorata, parimenti a lui che se ne innamora al primo sguardo. I due già si amano e nulla impedirà loro di cedere alla passione.
Mie care amiche qui dico la mia.
Allora, la storia di Paolo e Francesca è resa immortale dal V canto dell’Inferno scritto da Dante e, fino a quando leggevo quei versi ero ammaliata da un amore così puro che andava oltre la morte. Condannati entrambi alla tempesta eterna senza colpa, solo il fato avverso aveva ordito contro di loro quel complotto nefasto, eppure, leggendo la versione di Strukul, che andrò ad approfondire mediante le fonti citate, non posso esimermi dal difendere Giovanni, un uomo punito dalla sorte, che lo ha fatto nascere storpio e brutto, poverino, che ha lottato tutta la vita per reprimere la repulsione che provava per sé stesso e in competizione con la bellezza che Dio aveva riservato soltanto al fratello. Dante è stato ingiusto e frettoloso a condannarlo, poiché, pur essendosi macchiato di fraticidio, avrei voluto vedere lui se il suo stesso sangue gli avesse fregato la moglie. Un pò di clemenza, per un uomo in lotta con la vita dalla nascita, sarebbe stata meritata e poi, la colpa è anche di Paolo che non se l’è tenuto nelle mutande.
E che cavolo!
Era sempre sua cognata e lui, così bello e prestante, avrebbe potuto avere qualsiasi donna.
Sì che al cuore non si comanda, ma pure lui dico io!
Capisco lei, che è una ragazzina di sedici anni e si sa che a quell’età si fanno le meglio cazzate, inoltre si ritrova per marito uno che non ha niente da invidiare al Bisbetico Domato interpretato da Celentano, ma Paolo è anche sposato con prole al seguito, oltre a dilettarsi di tanto in tanto con le fanciulle del popolo, quindi non è uno stinco di santo, poteva risparmiarsela almeno la cognata.
E invece no!
La sua presunzione è abbacinante.
La vuole e se la prende, ben sapendo che lei non avrebbe resistito alla sua bellezza, che poi, lasciatemelo dire, meglio Giovanni, che quel belloccio imbalsamato del fratello. Almeno lui, pur brutto, ha il suo carisma ed emana un certo fascino, Paolo sembra invece un manichino imbalsamato, devoto alla lussuria e al piacere e trascina quella stupida appresso a lui.
Ok, mi sono sfogata, scambiatemi pure per una bigotta, ma mi è dispiaciuto per Giovanni, snobbato dalla moglie per anni e fregato dal suo stesso fratello. Anche Giovanni ha le sue colpe, certo. Quando il loro bimbo è nato morto l’ha abbandonata a sè stessa, ma a lei questo abbandono ha fatto comodo così poteva trombarsi Paolo in santa pace.
Mah, io non ho parole!
Sicuramente anche Giovanni ha sbagliato quando Francesca ha perso il suo bambino durante il parto. In un momento come questo è stato crudele e spietato, l’ha lasciata da sola nel dolore e nella sofferenza, ma anche lui aveva perso suo figlio, le aveva chiesto tempo per riprendersi dell’accaduto, un tempo che non gli è stato concesso.
Tuttavia, pure lui, poteva evitarsi il duplice omicidio e risolvere la questione con un duello, tanto in voga ai tempi, ma ognuno reagisce secondo il suo carattere e, conoscendo Giovanni, c’era da aspettarselo.
Comunque, ragazze mie, mi è crollato un mito, ma per fortuna la versione di Dante è immortale e quella resterà la sola e unica verità per me.
Resta il fatto che Strukul è stato davvero molto bravo ad immortalare una delle tragedie amorose più famose della storia, calando il lettore nell’atmosfera del tempo anche mediante la descrizione dei paesaggi che incorniciano la trama.
Considerazioni finali
Paolo e Francesca è stata una lettura molto coinvolgente, mi ha fatto rivivere gli anni della mia adolescenza trascorsa tra le pagine dei grandi classici di cui mi cibavo assorbendo ogni singola parola. Quelle storie cavalleresche senza tempo, che si perdono nei meandri della storia e che attraversano con ardore i cuori di tutte le giovani fanciulle all’esordio della femminilità, quei cavalieri e nobili guerrieri, coraggiosi e senza paura, che affrontano mille peripezie per guadagnarsi l’amore delle proprie dame in un mondo fatato e antico, fatto di miti e leggende, pulsante di magia e intriso di mistero. Quei secoli oscuri e lontani, che tanto ci affascinano e vorremo rivivere, l’amore cortese, i palazzi, la sontuosità delle vesti e la bellezza immortale di quei personaggi così romantici e al contempo violenti, dove la morte e la crudeltà trovavano alloggio quotidianamente, assottigliandosi nelle nobili corti sottoforma di intrighi e tradimenti, congiure e pettegolezzi. E poi c’era lui, quel guerriero aitante, dotato di prestanza fisica e di un viso angelico, c’era l’amore travestito da freccia dorata e scintillante, pronta ad essere scoccata dall’arco possente di cupido, da quel Dio così ribelle e bellissimo, a cui ogni vittima soccombeva senza pietà. Così Paolo e Francesca sono stati travolti, durante la lettura di uno degli amori più tormentati di sempre, quello di Lancillotto e Ginevra, perchè “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”. In virtù di ciò vi lascio al V canto dell’Inferno dantesco, di cui porto, nella mente e nel cuore, ogni singola parola. Partirò proprio dal momento in cui Dante incontra i due innamorati, condannati alla dannazione eterna, quando Francesca narra la sua tragica vicenda. Buona lettura!
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,a noi venendo per l’aere maligno,sì forte fu l’affettüoso grido.”O animal grazïoso e benignoche visitando vai per l’aere personoi che tignemmo il mondo di sanguigno,se fosse amico il re de l’universo,noi pregheremmo lui de la tua pace,poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.Di quel che udire e che parlar vi piace,noi udiremo e parleremo a voi,mentre che ’l vento, come fa, ci tace.Siede la terra dove nata fuisu la marina dove ’l Po discendeper aver pace co’ seguaci sui.Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,prese costui de la bella personache mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.Amor, ch’a nullo amato amar perdona,mi prese del costui piacer sì forte,che, come vedi, ancor non m’abbandona.Amor condusse noi ad una morte.Caina attende chi a vita ci spense”.Queste parole da lor ci fuor porte.Quand’io intesi quell’anime offense,china’ il viso, e tanto il tenni basso,fin che ’l poeta mi disse: “Che pense?”.Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso,quanti dolci pensier, quanto disiomenò costoro al doloroso passo!”.Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,e cominciai: “Francesca, i tuoi martìria lagrimar mi fanno tristo e pio.Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,a che e come concedette amoreche conosceste i dubbiosi disiri?”.E quella a me: “Nessun maggior doloreche ricordarsi del tempo felicene la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.Ma s’a conoscer la prima radicedel nostro amor tu hai cotanto affetto,dirò come colui che piange e dice.Noi leggiavamo un giorno per dilettodi Lancialotto come amor lo strinse;soli eravamo e sanza alcun sospetto.Per più fïate li occhi ci sospinsequella lettura, e scolorocci il viso;ma solo un punto fu quel che ci vinse.Quando leggemmo il disïato risoesser basciato da cotanto amante,questi, che mai da me non fia diviso,la bocca mi basciò tutto tremante.Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:quel giorno più non vi leggemmo avante”.Mentre che l’uno spirto questo disse,l’altro piangëa; sì che di pietadeio venni men così com’io morisse.E caddi come corpo morto cade.