Loretta Minnozzi “a Corte”

Introduzione

Nel centro degli Appennini la vita scorre monotona ma quando giunge a Castel Berarda la lettera della Marchesa Camilla – la prima di una lunga serie dalla corte di Francia – il destino prende una piega diversa per la Contessina Astremisia che la porterà a un ruolo non suo: quello di favorita del Re e del suo seguito, un codazzo di servitori dai titoli altisonanti che ruotano, ogni giorno, attorno al sovrano per assecondare i capricci reali.
Tra rigidi protocolli, decreti urgenti e un decalogo bizzarro, frutto dell’esperienza dell’attempata Marchesa, Astremisia non dorme sogni tranquilli: la sua avvenenza di sole quindici primavere è giunta all’orecchio di Sua Maestà che rischia di destabilizzare le sorti dei due paesi, pur di accoglierla a corte per una ricognizione urgente “de visu et de manu”.
Per la voce autoriale e l’idea portante di una terminologia ricercata e coeva, il romanzo è sui generis e trascina il lettore in un quadro d’epoca che fuoriesce in toto dai calamai dei singoli personaggi.

Recensione

La favorita del Re, ironico e bizzarro, sarcastico fino alla sfumatura più profonda di quell’inchiostro che lo ha generato per mano della sua talentuosa autrice.
Cari lettori, vi anticipo già che la lettura sarà uno spasso, purtroppo troppo breve, ma intenso, come si suol dire. La protagonista del racconto è la giovanissima contessina Astremisia, scelta dal re di Francia come sua favorita, atta ad una ricca attività epistolare con funzionari regi di alto rango, eminenti emissari della chiesa e una voce autorevole che la istruisce nel ruolo che si accinge a ricoprire, ossia l’ex favorita del Re, la nobile Sanzanima. Il tutto colorito da un famigerato decalogo che, la poveretta, in veste di futura favorita, dovrà seguire alla lettera.
La lettura, seppur leggera e piacevole, ritaglia tra le righe la realtà del tempo, impeperita da nobili sotterfugi e potenti ruffiani che aspirano agli alti gradi del potere. Il re, un fantoccio manovrato dal Gabinetto, che prende le decisioni sul regale trono adibito ai bisogni corporali, appare come una marionetta dedita al sollazzo personale, e la sua vita privata viene trattata al pari di un affare di Stato, così come accadeva in quell’epoca di dame e cavalieri. La Minnozzi è stata molto brava, descrivendo quella realtà con un linguaggio ricercato, richiamando quel gergo antico anche a livello filologico. L’autrice, utilizza termini appropriati, che rendono reale un rapporto epistolare frutto della sua penna esperta e conoscitrice accurata delle dinamiche storiche, arricchendo la trama con citazioni letterarie non di poco conto, testimoni di una cultura acquisita e studiata con passione.
Dunque, La favorita del Re, è un romanzo che merita davvero, una lettura da non perdere per arricchire la conoscenza e imparare nuove parole di un’epoca travagliata e affascinante. Per tutti coloro che ancora non hanno letto il romanzo, consiglio di non attendere oltre, e buttarsi a capofitto in questa trama coinvolgente e simpatica, io, dal canto mio, non posso che augurarvi una buona lettura in compagnia di Astremisia e le sue lettere.

Biografia Autrice

Loretta Minnozzi (classe 1973) nasce a Macerata. Una laurea in Economia e l’abilitazione a Consulente del Lavoro la portano a non coltivare le sue passioni ma una domenica d’autunno del 2019, di ritorno da un evento culturale, riapre un cassetto e termina il primo romanzo. Con “La Favorita del Re” riceve il Premio Residenze Gregoriane 2020 nella sezione di “Narrativa Inedita Breve” e arriva finalista al Concorso Letterario Argentario 2020.
A giugno del 2022 pubblica il racconto La Carta d’Identità nell’antologia “Marche d’Autori – i Traguardi” (vol.4°) che raccoglie 100 racconti delle migliori penne d’autori marchigiani.

L’Essere, nel bene e nel male

Dagli albori della storia, o, almeno, da quando si ha memoria, l’universo è dominato da due forze in contrasto tra di loro e che sono all’origine di ogni pensiero che il saggio Marx indicava col nome di “sovrastruttura”, ovvero religione, filosofia e tutto ciò che non apparteneva alla sfera dei bisogni primari, la cosiddetta “struttura”. Lungi dal soffermarci sull’aspetto politico e sociale della vicenda, l’intendo è quello di affrontare un tema dibattuto da secoli su un piano prettamente teoretico. L’argomento dell’indagine qui enunciata è l’eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e l’oscurità, tra il bianco e il nero. Una lotta incessante che richiama varie branche del sapere. Una delle linee teoriche che ha dominato la sfera culturale negli anni antecedenti al Cristianiesimo è il Manicheismo a cui anche Sant’Agostino, prima della sua conversione, ha aderito con particolare entusiasmo. Secondo la dottrina elaborata dal profeta Mani, il mondo si regge su due forze contrapposte, il bene e il male appunto. Il primo incarna la luce e la spiritualità, il secondo le tenebre e la materialità.
Una dualità che domina il mondo e l’anima umana in un eterno conflitto degli opposti, un fuoco che arde e divampa incessantemente richiamando l’eterno divenire eracliteo. Con il Cristianesimo questo dualismo ha raggiunto l’apice. Sulla vetta, al di sopra del creato, c’è Dio, l’eterno bene, l’amore da cui tutto promana (Sant’Agostino), nei meandri più profondi, invece, in quell’abisso oscuro e dannato, c’è Satana, il male assoluto. Nel De Civitate Dei, Agostino parla di due città, la Gerusalemme celeste, il bene, destinata a trionfare, e la Gerusalemme terrena, il male e il peccato, destinata a soccombere. Una dualità che contrasta nettamente  con l’eterna unità che ha governato per secoli la scena filosofica. I neoplatonici, di cui Agostino era un fervente lettore, sostenevano l’unità del divino, questo Uno che era tutto e da cui tutto si diffondeva, generando una gerarchia degli esseri da cui però l’Uno non faceva parte, essendo esso l’essere per eccellenza, l’esistenza all’ennesima potenza, ciò che è e da cui tutto promana. Già Parmenide aveva cercato di dare una definizione di essere, un primo tentativo in chiave metafisica che discostava dalla fisica concreta dei suoi antichi colleghi. Secondo il filosofo greco, l’essere è un eterno presente, fisso e immobile. “L’essere è e non può non essere” sostiene con convinzione. Un essere che travalica nella piatta versione di un eterno fissare, come le anime che descriveva Dante nel suo Paradiso. Una danza e un inno verso Dio, verso la pienezza e bontà d’essere, amore di essere, amore in ogni forma che sfocia in felicità perenne nel semplice osservare estatico della luce, del bene.
Al contrario il male genera sofferenze e dolore, torture e pene infinite, come Paolo e Francesca, travolti da una tempesta eterna per il loro amore lussurioso, ma ben altre pene peggiori sono riservate ai dannati.
Dunque, il bene e il male, sono due forze che, irrimediabilmente, reggono le fondamenta dell’universo e, come due potenti titani, sorreggono sulle loro spalle la volta celeste per impedire che il mondo venga distrutto.
Una sorta di legge divina regolata però dal libero arbitrio, e qui entra in gioco l’uomo e la sua morale.
L’uomo può e deve scegliere se seguire il bene o il male, se ancorarsi al bagliore candido della luce divina o lasciarsi schiacciare dal buio pesto del male. Una scelta non sempre dettata da una lucida, quanto flebile, razionalità umana, ma dettata, spesso, da una natura innata che pervade l’individuo dalla nascita.
Ancora una volta l’uomo è protagonista indiscusso della storia e della filosofia, del suo vivere nel mondo e delle azioni che compie, guidato dall’imperfezione del suo essere, in contrasto con la perfezione assoluta.

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“Il Dio alieno della Bibbia” terrore e tremore della Chiesa – PARTE II

Nel suo testo ” Il Dio Alieno della Bibbia” Mauro Biglino analizza nel dettaglio i versi biblici e riporta, con dovizia di particolari, una traduzione letterale dello scritto, che contrasta fortemente con la traduzione metaforica con cui, invece, nel corso dei secoli e ancora oggi, la Chiesa ha trasmesso la parola divina. Occorre precisare che la Bibbia, ha subito diversi rimaneggiamenti che ne hanno trafugato il reale messaggio. Tuttavia cela ancora diversi misteri che all’occhio dello studioso si sono rivelati alquanto devastanti.
Dunque, cosa ci sta dicendo Biglino?
Una cosa molto semplice.
Egli ci invita a leggere la Bibbia non in senso figurato, bensì in senso letterale. Quello che è scritto è, non bisogna andare a cercare tra le righe dei significati oscuri che con ogni probabilità sono frutto della mente umana, anzi ecclesiastica.
Lui stesso riporta all’interno del libro alcuni versi e li traduce nel loro significato concreto. La cosa che spicca subito all’occhio è la descrizione di Dio, disegnato all’interno del testo biblico, non come un essere etereo privo di un corpo e, nemmeno, come l’Onnipotente creatore del mondo che dispensa amore e premi a coloro che vivono nella virtù. Al contrario, qui, emerge un essere molto concreto, dotato di un corpo (cammina per diversi Km e ha bisogno di mangiare e bere, lo stesso Abramo si preoccupa di preparargli un pasto che lo rifocillasse a dovere e lo invita a riposarsi per riprendersi dalla fatica). Per non parlare poi del suo carattere, quel Dio è un arrogante e un prepotente, che inneggia alla guerra e cerca in ogni modo di sopraffare i suoi rivali.
Quali rivali direte voi? Dio è uno e molteplice, Dio è finito e infinito, è l’alfa e l’omega.
Dio non ha rivali!
Ma nella Genesi casca l’asino!
Perchè Dio parlerebbe al plurale se è l’Uno? Chi lo sa! Forse secoli di platonismo e neoplatonismo hanno contribuito a travisare la situazione.
Comunque, se fosse stato da solo, dice Biglino, non avrebbe avuto motivo di conquistare il suo pezzo del pianeta, anche il più povero per giunta.
Forse era accompagnato da qualcun altro? Altro mistero, si sa soltanto che gli Elohim, questa stirpe a cui apparteneva anche il celebre Yahweh, erano in molti e non uno soltanto e che cacciano l’uomo dell’Eden per paura che, dopo aver preso coscienza di sé stesso, diventi anche immortale ” come noi” c’è scritto letteralmente nella Genesi.
Ma ritorniamo a Dio. Lui non è solo, è accompagnato sempre dai suoi angeli, tra l’altro spietati come lui. Anch’essi, leggendo il testo, sembrano essere fatti di carne e ossa e camminano a piedi diversi km.
Ma gli angeli non hanno le ali?
Biglino si sofferma poi sugli strumenti usati da Dio.
Pare che egli seguisse il popolo ebraico su una nuvola, che emanasse scie di fuoco che ustionavano chiunque si avvicinasse e che tutti dovevano stare a debita distanza.
Si aggirava forse all’interno di un’astronave? Il suo immenso potere era forse dovuto a qualche attrezzo tecnologico particolare?
Tutto è probabile.
Soffermiamoci infine sul suo nome “Colui che è” scusate, ma sembra una presa per i fondelli.
Biglino elabora la teoria secondo cui, il nostro furbetto Yahweh volesse nascondere la sua identità ai suoi nemici, e dunque, non fidandosi della gente che si era scelto, aveva deciso di dare un nome fittizio.
Tutto potrebbe anche essere nel vasto mondo delle possibilità, tuttavia, occorre precisare che ogni teoria ha la pretesa di essere verificata, e purtroppo in questo caso ogni verifica è nulla.
Leggere il testo di Biglino è stata una splendida avventura che mi ha condotto in una spirale di supposizioni che fanno riflettere. Potrei continuare ancora, ci sarebbero molte altre cose da aggiungere, ma dovrei scrivere un libro a parte.
Dunque, vi invito a leggere con  attenzione questo testo affascinante e a trarne le vostre conclusioni.

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“Il Dio alieno della Bibbia” terrore e tremore della Chiesa – PARTE I


Tra gli scritti più affascinanti della storia, l’Antico Testamento biblico si trova sul podio. Uno scritto enigmatico, ricco di intrighi, passioni, guerre e cataclismi, in cui le fila della trama vengono mosse dal famoso Yahweh, il Dio ebraico, il nostro Dio. La storia di un popolo, il popolo ebraico, attraversata dai secoli, dove incesti, omicidi, tentati omicidi e guerre invadono il tempo, mentre punizioni spietate e Angeli del Signore portano morte e distruzione. Yahweh affascina e spaventa al tempo stesso, è un personaggio misterioso “Colui che è”, criptico, arrogante e crudele.
Non è un caso la celebre frase “L’ira di Dio”, che prende spunto proprio dalle azioni compiute dal nostro Dio.
Una divinità alquanto strana, un condottiero votato alla guerra più che un amorevole padre che dispensa premi e doni.
Su di lui, uno dei testi che più mi ha colpito e che analizza nel dettaglio questo essere dalle doti divine e terribili, è “Il Dio alieno della Bibbia” di Biglino. Badate bene, Biglino non è uno qualunque, ma uno studioso biblico incaricato dalle edizioni Paoline di tradurre la Bibbia; un incarico che ha mollato quando ha iniziato a leggere il testo originale, dichiarando che non poteva continuare un lavoro che si discostava dalla realtà del testo. Leggendo la Torah in lingua originale  egli ha carpito informazioni che portano sgomento e fanno tremare le fondamenta della religione. Un Dio che in realtà non è un Dio, più vicino all’umano che al divino, che faceva uso di strumenti ad alta tecnologia, visti come potenti mezzi di potere da parte dell’umanità che all’epoca popolava la Terra. L’uomo di quel tempo, dal punto di vista industriale e tecnologico, era ancora agli esordi, poco evoluto e ancorato alla manualità, dunque, qualsiasi elemento estraneo a quel mondo veniva considerato divino. Per fare un esempio, se uno di noi potesse viaggiare indietro nel tempo, fino a quella antica era, portando con sè uno smartphone, uno smartwatch o, addirittura, una macchina, ebbene, anch’esso sarebbe considerato una divinità.
Se 20 anni fa mi avessero detto che avrei potuto scrivere pigiando dei pulsantini su uno schermo, avrei riso in faccia ai miei interlocutori. Per me, all’epoca, il pulsante era un oggetto fisico facente parte di un corpo distaccato dalla schermo, non incorporato in esso, e immaginavo che ciò fosse solo fantascienza.
Ebbene, quanto mi sbagliavo!
Questo secondo esempio serve a far comprendere che anche ai nostri giorni, ciò che non si conosce viene considerato impossibile, inesistente o divino e soprannaturale. Ecco perché, questo misterioso personaggio di nome Yahweh riuscì a porsi come leader di un popolo. Pensate un attimo agli strumenti che utilizzava e che ha donato loro, primo fra tutti l’Arca dell’Alleanza. Essa funzionava solo se si indossava il pettorale in dotazione e causava gravi danni fisici se qualcuno decideva di avvicinarsi a quell’aggeggio senza le giuste precauzioni. Pare che Salomone la utilizzasse per comunicare con il Dio, una sorta di ricetrasmittente in legno e oro che non funzionava senza il sussidio del pettorale, forse uno smartphone del passato.
Biglino elabora diverse ipotesi affascinanti a riguardo che analizzerò dettagliatamente nel prossimo articolo.
Intanto… buona lettura!

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Rosita Mazzei, una scrittrice vestita di nero

Una delle autrici più interessanti del panomarama letterario italiano è senz’altro Rosita Mazzei che ha esordito con il suo primo romanzo “Lady Selene” nel 2018. Rosita è una scrittrice dal sapore gotico, che incanta i lettori con una scrittura tagliente e geniale. Una penna illuminata dalla formazione filosofica che la contraddistingue, che affascina e intriga al contempo. Le sue storie si vestono di nero e assumono sfumature dark dal carattere inquietante. Iniziare un suo libro significa non fermarsi fino all’ultima pagina, poiché ti inchioda alle parole e ti imprigiona in una spirale di morte. Questo è ciò che mi ha trasmesso il suo secondo romanzo “Un nobile orrore” che catapulta il lettore in un’epoca romanticamente tetra e terrificante.Ora, non posso non consigliarvi la lettura di “Un incubo vermiglio”, l’ultima avvincente e appassionante fatica della scrittrice calabrese, sono sicura che anche questa volta non deluderà le aspettative.

Acquistatelo numerosi qui https:///incubo-vermiglio-Rosita-Mazzei-ebook/dp/B0BHPBKZF3/ref=mp_s_a_1_1 e vi aspetto sul mio blog il giorno di Halloween per la recensione e buona lettura!

1950 Nel tepore del proprio letto da morto, egli ascoltava un po’ stordito le dolci quanto tristi melodie provenienti da un vecchio violino, suonato per anni dal proprio vicino sempre alla medesima ora. Ogni sera, alle ventidue precise, il vecchio Arnold eseguiva […]

Rosita Mazzei.

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Il “Codice da Vinci” tra Arte e Rivelazione

L’autore dei nostri giorni che ho preferito in assoluto è Dan Brown, di lui ho letto quasi tutto e Robert Langdon è diventato un mio caro amico durante i freddi pomeriggi invernali. Sono banale, lo so, ma il libro di Brown che più ho adorato e che rileggo volentieri è il “Codice da Vinci”, con una trama avvincente e un mistero, il mistero dei misteri direi, che si dispiega nella trama attraverso il genio logico del mitico professore, esperto di simbologia e arte.
Ho già detto che l’ho adorato?
L’acume intellettuale di Langdon si ingegna nella risoluzione di un fitto intrigo enigmatico volto alla sensazionale scoperta del Graal.
“La linea della Rosa” attraversa il globo, dall’America alla Francia, dalla Francia all’Italia, dall’Italia all’Inghilterra e infine di nuovo in Francia.
Tutto inizia e tutto finisce al Louvre, il museo dei musei, un angolo d’arte da cui promana il genio artistico per eccellenza. Filosofia su tela, poesia adagiata su pareti di storia.
Il “Codice da Vinci” è sicuramente un romanzo avvincente, ma non è solo questo. Leggendolo si assapora l’enigma in ogni sfumatura di colore impresso su tela, in ogni pietra lavorata a formare una statua, in ogni scritto che cela un mistero nascosto. La rivelazione è la vera protagonista della storia, una rivelazione religiosa ma anche letteraria che sfocia in un finale mozzafiato. La teoria di Brown sul Graal, frutto di numerosi studi, è alquanto intrigante, in chiaro contrasto con la dottrina ecclesiastica.
Non farò alcun accenno alla trama, che tutti conosciamo, dico soltanto che crea nel lettore una curiosità insolita per un tema trattato da secoli, rivisitandolo in chiave rivoluzionaria.
Lo so, mi sono dilungata molto su questo romanzo, ma non potevo non parlarne, non qui sul mio blog.
Altri scritti dell’autore americano che mi sono piaciuti molto sono “Angeli e Demoni”, “Il simbolo perduto”, e “Inferno”, mi ha convinto poco, invece, la sua ultima opera “Origin”, molto incentrata sulla descrizione dell’intelligenza artificiale e poco rivolta al tema predominante dello scritto, ossia “Chi siamo?” e soprattutto ” Da dove veniamo?”, a cui lo scrittore ha dedicato qualche pagina verso la fine. Anche l’estro intellettuale di Langdon qui appare fiacco, quasi stanco dinanzi alla sua amata arte. Nulla a che vedere, dunque, con il “Codice da Vinci” così brillante ed intenso.
Brown resta comunque uno degli autori moderni che ho più apprezzato nel vasto mondo letterario moderno e che vale la pena leggere. Uno scrittore la cui penna trasmette un certo fascino trasportando il lettore nel suo mondo di simboli e storia.

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Cos’è Filosofia

Care e Cari Readers, come ho anticipato nella mia presentazione, uno degli argomenti a cui mi dedicherò nel mio blog è la maestosa signora che incarna il sapere in ogni sua sfaccettatura, la leggendaria Filosofia.

Quest’affascinante ammalliatrice illumina la via del saggio e lo sprona alla ricerca incessante. Incentiva la conoscenza e innalza la mente a nuovi orizzonti. La nostra signora vanta origini molto antiche e la sua scia si disperde nella storia. Gli storici fanno coincidere la nascita della filosofia con la fondazione della Scuola Ionica, conosciuta anche come Scuola di Mileto, colonia Greca, da parte dello studioso Talete intorno al VI secolo a.C.
Ma cosa significa il termine Filosofia?
La parola Filosofia deriva dall’unione di due termini di origine greca, ovvero “philein”, che significa amare, e “sophia” che indica la saggezza.
Dunque, con questa magica parola, si suole intendere “Amore per la sapienza”, un amore che si radica in tutte le aree della conoscenza. A livello etimologico, l’utilizzo del termine, è alquanto oscuro. La maggior parte degli studiosi concorda che il termine non abbia avuto origine dai presocratici, bensì sia sorto in epoche più tarde. Occorre precisare che i primi pensatori non erano affatto coscienti di essere filosofi, per loro la Filosofia era una disciplina che sfociava in uno stile di vita volto alla continua ricerca; in particolare, i primi filosofi, come Talete, Anassimando e Anassimene, attuavano i loro studi nel reale, solo successivamente, a partire da Socrate e più approfonditamente con Platone e Aristotele, lo studio tocca argomenti più complessi e meno concreti, come l’anima, Dio e il mondo.
La Filosofia, unica e vera madre delle scienze, al tempo dei presocratici, e durante i diversi secoli che seguirono, si annidava nelle varie branche del sapere.
TUTTO ERA FILOSOFIA.
La matematica, la geometria, la fisica, la medicina, la biologia, l’arte, la scrittura, la pedagogia, la psicologia, la sociologia; in altre parole, tutto il sapere era Filosofia, un concentrato di saggezza per pochi eletti (Eraclito) da scovare con attenzione e arguzia d’ingegno (Socrate).
Dunque, il concetto di Filosofia risulta alquanto complesso, e, come una bella donna in abito da sera, seduce la mente umana e la trascina nelle fauci di un mondo crudo e nuovo che lascia poco spazio al mito e all’immaginazione.

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